Frank Zappa un tributo

By Bill Milkowski

Guitar Club, May 1994


Il mondo ha perso un vero genio il 4 dicembre 1993, quando scomparve Frank Zappa poche settimane prima del suo 53esimo compleanno. Compositore prolifico, maestro di satire, commentatore del sociale, inconoclasta pop, leader dittatoriale e straordinario chitarrista, Zappa, noto stakanovista, ha transcorso gli ultimi anii favorando sodo, come se la sua stessa vita dipendesse da questo.

Solo un mese prima della sua scomparsa, ha pubblicato un album di musica per orchestra e da camera, "The Yellow Shark", inciso dal vivo dalla Ensemble Modern in Germania ed Austria nel settembre del 1992. A dispetto della sua malattia, ha preso parte a due concerti tenutisi a Francoforte, in Germania, dirigendo personalmente tre brani.

Frank Zappa racchiude in sé una collezione di paradossi. Vero uomo rinascimentale, ha integrato nel suo essere artista il doo-wop, il blues, il jazz moderno e la fusion elettrica, riversandole nella sua musica rock, mentre ha mantenuto distaccata la carriera di compositore classico sotto l'influenza di Anton Weber, Edgard Varèse, Igor Stravinsky e Karlheinz Stockhausen.

Ha inciso di tutto: da banali melodie pop ("Valley Girl", "Don't Eat The Yellow Snow") a grandiose suites orchestrali ("The Perfect Stranger"); da R&B anni Cinquanta ("Cruising With Ruben And The Jets") a musical modello off-Broadway ("Thing Fish"); dalla satira corrosiva ("Broadway The Hard Way", "We're Only In It For the Money") alla virtuosistica vetrina del suo talento di musicista ("Shut Up'N Play Yer Guitar").

L'intera discografia, che conta oltre 60 album, avrebbe bisogno di mesi per essere totalmetne assorbita.

Sebbene l'impatto della sua produzione negli anni '70 e '80 sia stato in gran parte dato per scontato, Zappa ha avuto una notevole influenza sulla musica rock sperimentale e progressive di quelle decadi. Personaggi come l'art-rocker inglese Henry Cow, il rumorista newyorkese John Zorn e il maestro del funky George Clinton hanno contratto un grosso debito con Frank Zappa. Lui è stato anche un fine scopritore di talenti, aprendo la strada ad artisti come i batteristi Chester Thompson e Terry Bozzio, i chitarristi Steve Vai e Adrian Belew, il pianista George Duke, il violinista Jean-Luc Ponty e il famigerato Captain Beefheart.

In una delle sue ultime interviste, Zappa ha confidato alla rivista Pulse: "Non ho mai avuto intenzione di scrivere musica rock. Ho sempre voluto comporre musica più seria per essere rappresentata in sale da concerto, ma sapevo che nessuno l'avrebbe mai eseguita. Così mi resi conto, se mai qualcuno avesse avuto voglia di ascoltare ciò che componevo, che avrei dovuto mettere insieme un gruppo e suonare musica rock. Così è iniziato tutto".

Frank Vincent Zappa è nato il 21 dicembre 1940 a Baltimora, nel Maryland, il più grande di quattro figli. Suo padre, un immigrato siciliano che aveva lavorato nell'esercito, si trasferisce con la famiglia in California all'inizio degli anni Cinquanta, stabilendosi a Lancaster al confine del deserto Mojave.

Zappa inizia a suonare la batteria a 12anni e poco dopo si interessa già al R&B.

A 14 scopre la musica del suo idolo d'infanzia; il compositore di musica classica contemporanea Edgard Varèse e inizia ed emularlo componendo egli stesso le prime partiture orchestrali. Il primo gruppo di Zappa è una formazione interazziale chiamata Black-Outs. Inaugura il proprio studio di registrazione al l'inzio dei Sessanta incidendo alcuni oscuri singoli, tra cui "Memories Of El Monte" dei Penguins: il battesimo su disco come chitarrista. Nel 1946, si unisce ad una band dell'area di L.A. chiamata Soul Giants.

Si stanca di suonare cover da classifica, così convince alcuni membri del gruppo, il cantante Ray Collins, il batterista Jimmy Carl Black e il bassista Roy Estrada, a lasciare i Soul Giants e per tonnare le sperimentali Mothers Of Invention.

Ben presto diventano il gruppo più discusso della scena underground di L.A. e nel 1966 incidono l'album "Freak Out", il primo doppio del l'era moderna del rock. Seguito dagli acclamati "Absolutely Free", "We're Only In It For The Money", e il debutto orchestrale "Lumpy Gravy". (Nota interessante: un brano di "Absolutely Free" intitolato "Plastic People" diventerà l'inno di un intero movimento di dissidenti cecoslovacchi incentrato su un gruppo underground battezzatosi Plastic People of the Universe.)

Nel 1969 Zappa scioglie le fila delle originali Mothers Of Invention e due anni dopo inizia a registrare e dare concerti con una nuova formazione chiamata semplicemente Mothers. Ne fanno parte, tra gli altri, gli ex cantanti dei Turtles, Mark Volman e Howard Kaylan (meglio conosciuti come Flo & Eddie). Sempre nel 1971, firma la regia del film "200 Motels"; una sorta di buffo documentario (anticipando "Spinal Tap" di oltre dieci anni) sugli stenti e le sofferenze della vita on the road del rock and roll. A metà dei Settanta, Zappa inizia finalmente ad avere un certo successo commerciale con lavori quali "Overnite Sensation" e "Apostrophe". Nel 1979 entra nei Top 30 con "Sheik Yerbouti", con il brano di satira pop "Dancin' Fool". All'inizio degli Ottanta infine fonda la sua etichetta Barking Pumpkin, per incidere e distribuire i propri dischi.

Metre l'America è a una svolta per l'affermazione dei diritti politici durante i mandati di Regan e Bush, il sempre più controverso Zappa diventa una voce ancor più importante del dissenso. Una delle più memorabili apparizioni pubbliche del decennio è la testimonianza sui testi delle canzoni pop, con l'intento di imporre censura su numerosi artisti. Estratti di quelle udienze appariranno più tardi su "Frank Zappa Meets The Mothers Of Prevention".

Il genio Zappa è infine riconosciuto su larga scala nel 1987, quando riceve un Grammy per l'album al Synclavier "Jazz From Hell".

L'ultimo tour con una band risale al 1988: ne sono testimonianza "Broadway The Hardway" e l'eccellente doppio CD "The Best Band You Head In Your Life". Anche dopo che la sua malattia viene resa nota nel 1991, il suo senso di missionario musicale non vacilla. Continua a lavorare da otto a dieci ore al giorno su progetti diversi, come il seguito di "Lumpy Gravy", un doppio CD contenente "The Yellow Shark" e "Civilisation Phaze III" (nei negozi da aprile).

Gli sopravvivono la moglie Gail, i figli Dweezil e Ahmet e le figlie Moon e Diva. Lascia inoltre un'eredità incredibilmente cospicua di tesori musicali che supereranno l'ordalia del tempo.

Quelli che seguono, sono estratti di un'intervista con Frank Zappa avvenuta il 7 luglio 1983.

L'intervista

Guitar Club: Quali sono alcuni degli equivoci, nella considerazione che di te ha la gente?

Frank Zappa: La gente trova difficile credere che ognuno può comporre ed eseguire ciò che io faccio io, perché la maggior parte di loro ha a che fare con gente troppo unidimensionale e di vedute ristrette e focalizzate su un campo specifico. Stanno lì e non si muovono. lo non agisco in quel modo. Mi interesso a diversi tipi di musica, cinema, computer, politica e sociologia e ho sviluppato un'abilità notevole in ciascuna di queste aree d'influenza. Non credo comunque possibile correggere certi malintesi circa ciò che faccio. La gente preferisce credere a ciò che già conosce e, interferire con tale modo di vedere le cose, può generare solo confusione.

G.C.: Non hai conseguito alcun diploma, non hai studiato con nessuno e tuttavia hai acquisito un enorme mole di nozioni. Come hai fatto?

F.Z.: Sono andato il biblioteca. L'ingresso è libero, ed è lì. E sino a che non chiuderanno le biblioteche pubbliche negli Stati Uniti, ognuno avrà accesso alla stessa quantità di informazioni. Basta andarci e informarsi.

G.C.: Sappiamo che hai avuto un'esperienza molto negativa mentre ti trovavi a Palermo durante l'ultimo tour. Contribuì a convincerti ad abbandonare pur momentaneamente le scene?

F.Z.: Potrei dire di sì. Successe mentre stavo lavorando in uno stadio di calcio. Era l'ultimo concerto del tour e non vedevo l'ora di suonare in Sicilia perché mio padre è di quelle parti. Quel pomeriggio avevo fatto una gita al suo paese natale, questo piccolo villaggio chiamato Partinico. Mi stavo guardando attorno, cercando di assorbire le vibrazioni del luogo. Come sai, chi ha origini italiane e torna qui, avverte una sensazione strana ed io la stavo provando mentre camminavo per le strade del paese e guardavo le persone che assomigliavano a me e in qualche modo a mio padre, alle mie zie o ai miei zii. Comunque sia, ero di ottimo umore e non aspettavo altro che di suonare la sera.

Lo show iniziò, e dopo solo una decina di minuti fu evidente che stava accadendo qualcosa di strano tra il pubblico. Non potevo vederli perché erano al buio, ma riuscivo a sentire rumori e grida. Alla fine arrivò la polizia, seguita dall'esercito. Improvvisamente lanciarono bombe lacrimogene in mezzo alla folla. Iniziarono a volare mattoni verso i soldati e i poliziotti. Ben presto fu il caos. E noi continuammo, nonostante tutto a suonare. Ma la situazione volgeva al peggio e fummo costretti a coprirci la faccia con degli stracci bagnati, per proteggerci gli occhi dal gas. Ma continuammo. Poi le luci si accesero in tutto lo stadio e ci accorgemmo che si stava svuotando. Suonammo ancora per un'ora prima che ognuno fosse definitivamente fuori. Notammo allora che alcuni ragazzi avevano portato armi al concerto; così loro avevano armi e i poliziotti pure e stavano sparando gli uni contro gli altri, come cowboys e indiani. Nel frattempo rimasimo intrappolati nel sottoscala: alcune bande di giovani erano entrate di forza nel nostro pullman e volavano piere da tutte le parti: una piccola guerra.

E perché poi? Eravamo là per suonare, invece il concerto si sera trasformato in una situazione pericolosa in cui molte persone si erano ferite. Per di più, alla fine di quel tour, persi 160 mila dollari. Perciò, dopo quell'esperienza a Palermo dissi: "È troppo. Basta con i concerti". Ho 42 anni, amo la musica ma non credo che sottomettersi o far patire alla gente quel tipo di abuso potenziale, sia il prezzo da pagare per suonare la propria musica. E già abbastanza incidere dischi. Le uniche cose che ora mi interessano riguardo l'esibizione sul palco, sono il lavori orchestrali o i gruppi da camera. Ma salire là sopra con una chitarra elettrica e suonare rock and roll seguendo una scaletta precisa sera dopo sera, città dopo città... Non ne ho più voglia. L'ho fatto per 20 anni. Mi pare abbastanza.

G.C.: Parliamo di chitarre. Cosa ti ha affascinato di questo strumento e quali sono le influenze giovanili?

F.Z.: Bè, diciamolo, non c'è nulla che suoni come una chitarra elettrica. Una cara vecchia chitarra elettrica distorta racchiude un universo di suoni che trascende dal semplice rumore che ne viene fuori. Dice cose che nessun altro strumento dice, ed è ciò che mi attrasse. Suscitava emozioni che andavano ben oltre gli altri strumenti. Voglio dire che nulla è più biasimo di una chitarra distorta suonata correttamente. Riesco a produrre rumori blasfemi. Avevo circa 16 anni quando udii per la prima volta gente come Johnny Guitar Watson e Guitar Slim, entrambi musicisti allora estremamente rabbiosi. In particolare, fu il solo di Jonny Guitar Wason su "Three Hour Past Midnight" e quello di Guitar Slim su "The Story Of My Life" che veramente i colpirono. E quello che mi colpì non fu solo il tono duro e cattivo dello strumento, ma il modo assolutamente maniacale in cui vomitavano queste note in una frase musicale con nessuna o quasi attinenza con il resto della metrica o con ciò che accadeva loro intorno, mentre rimanevano coscienti di dove fosse la ritmica. Era come se stessero gridando a te.

G.C.: Entrambi ebbero un approccio molto vocale con la chitarra.

F.Z.: Sì, ed è il modo più diretto di comunicare con gli altri: usare discorsi ritmici. Questo fa la differenza. Perché se ascolti qualcuno che suona pulito, che fa accordi e scale perfette, non importa quanto sia bravo nel produrre le note sulla base ritmica: risulterà comunque un esercizio puramente intellettuale. Ma se vuoi andare oltre, in un contesto emozionale, hai bisogno di parlare sul tuo strumento. E se poi lo vuoi far parlare, devi essere cosciente del fatto che c'è un differente approccio ritmico da adottare per farlo. Va oltre la teoria, l'armonia e le note scritte su una pagina, arrivando giusto ad uno stato di emozione che vuoi superare. Ed è esattamente ciò che apprezzo in quei lontani solo di Johnny Guitar Watson e Guitar Slim. Arrivano diritti al punto.

G.C.: Possedevi una chitarra, allora?

F.Z.: No, ce l'aveva mio fratello Bobby. L'aveva comprata ad un'asta per un dollaro e mezzo. E non l'aveva mai suonata. Così la presi io e iniziai a dilettarmi. Allora ero un batterista.

G.C.: Come iniziasti a sperimentare con la chitarra?

F.Z.: Bè, per prima cosa cominciai suondando del blues. Era tutto ciò che volevo suonare. Non conoscevo alcun accordo, odiavo il jazz e non mi importava altro. La chitarra non era elettrica. Era un modello con tavola arcuata e buche a effe, con una action molto acuta delle corde. Difficile da suonare. Inoltre non sapevo nulla riguardo la tecnica. Dovetti arrangiarmi ed essere autodidatta. Feci tutto in un anno.

G.C.: Quando comprasti la tua prima chitarra elettrica?

F.Z.: Non prima di avere 21 anni. Era una Fender Telecaster presa a prestito. Dopo comprai una Fender Jazzmaster, che suonai per circa un anno e mezzo. Allora facevo parte dei Perrino & The Mellow Tones. Poco dopo guadagnai un pò di soldi grazie a delle musiche composte per un film. Era un western intitolato "Run Home Slow" e vi recitava Mercedes McCambridge. Con quei soldi comprai una Gibson ES-5 Switchmaster: una di quelle grosse chitarre dal corpo scavato e con tre pickup. È quella che si può sentire sui primi tre album ("Freak Out!", "Absolute Free", "We're Only In It For The Money"). Mi piaceva molto. Possedeva una bella tonalità e aveva un buon manico, ma non potevo usare un fuzztone perché si sarebbe creato un feedbeck incontrollabile. Allora ripiegai su una solid body: una Les Paul Gold Top, che adoperai per un paio di dischi. Da allora optai per una Gibson SG che suonai per tutta la seconda metà dei Settanta.

G.C.: Quando iniziasti ad interessarti ai fuzztones e ad altri effetti di distorsione?

F.Z.: Il primo fuzztone di cui sentii parlare era costruito da un ragazzo di nome Paul Buff. Io stesso da cui rilevai il primo studio di registrazione quando avevo 20 anni. Un vero genio dell'elettronica. Comunque sia, inserì un basso elettrico in un pre-amplificatore fonografico e poi direttamente alla consolle, così che suonasse come un fuzzbass. Uno dei rumori più incredibili che avessi mai udito! Naturalmente, nei giorni lontani del R&B, i ragazzi usavano produrre un suono distorto servendosi di casse senza copertura. Forse l'esempio più datato è quello di Willie Johnson, il chitarrista che suono tutti quei vecchi brani di Howlin' Wolf dei primi anni cinquanta.

(Nota: cercate il brano "Bluebird" per avere un classico esempio di tale suono distorto.)

G.C.: Così hai fatto pratica con il tuo distorsore fatto in casa?

F.Z.: Sì, infatti incisi un demotape nel 1962 con Don Van Vliet, che più tardi sarebbe diventato Captain Beefheart. Avevamo questo gruppo chiamato i Soots e avevamo registrato questa scombussolata versione di "Slippin'And Slidin'" di Little Richard, con una chitarra e fuzztone. Portai il nastro ad un tipo presso la Dot Records, una delle poche etichette di Hollywood che comprava master tape prodotti al di fuori della label. E il tipo disse, "non possiamo pubblicarlo. La chitarra è distorta".

G.C.: Quando entrò in scena il wah-wah?

F.Z.: Più tardi, verso il 1966-67. Fui uno dei primi a comprarlo. Non avevo neanche sentito parlare di Jimi Hendrix allora, quando lo presi Ne avevo fatto uso con la chitarra e il sassofono, mentre incidevamo "We're Only In It For The Money" nel 1967 e questo poco prima che incontrai Jimi. Arrivò e si sedette con noi al Garrick di New York e usò tutto ciò che c'era sul palco. Amavo quel rumore. Più tardi iniziai ad usare un pedale Mu-Tron che è essenzialmente un filtro Oberheim arrotolato. Poi anche un filtro per il controllo del voltaggio e per gli effetti di wanwah, che puoi ascoltare sull'album "Zoot Allures" e sul brano "Ship Ahoy" dall'album "Shut Up'N Play Yer Guitar".

G.C.: Pià tardi avresti suonato delle Fender Stratocaster.

F.Z.: Si, ne ho un paio equipaggiate con un Floyd Rose perché restino accordate. Un'altra delle mie Strato è quella sunbrurst che Hendrix bruciò al festival pop di Miami. Mi fu data da questo tipo che diceve di essere stato suo roadie. Il manico era rotto, il corpo parzialmente bruciato e i pick up inutilizzabili. Cosi chiesi a Floyd Rose di rimettere tutto insieme per me. Ogni chitarra che ho adoperato nel corso degli anni ha il suo assetto e le sue perculiarita. La SG suona veloce ma ha una timbrica più sottile. La Les Paul ha un manico più spesso e un tono più profondo di una Strato ma certi passaggi può suonarli più velocemente con la Strato. Insomma, tutto dipende da cosa vuoi ottenere dallo strumento.

G.C.: Hai scoperto molti talenti nel corso degli anni. Cosa puoi dire di Steve Vai?

F.Z.: Steve ha molte qualità, ma suonare la chitarra ritmica non è tra queste. È quel che si dice un virtuoso. Non c'è nulla che non possa fare con una chitarra in mano. È fantastico, un grande musicista, ma preferisco Ray White come chitarra ritmica nel mio gruppo.

G.C.: Quali qualità ricerchi in un musicista?

F.Z.: Deve essere comprensivo e adattabile a ciò che si sta facendo. Non puoi concentrarti sulla tua posizione all'interno dell'universo musicale. Se stai suonando con me, devi seguire la musica e non te stesso. Mi accorgo che quando si è sul palco e i riflettori si sono puntati sopra, si è tentati di farsi notare dal pubblico; ma non ho bisogno che si suoni materiale extra, materiale non richiesto.

G.C.: Come valuteresti il tuo modo di suonare la chitarra? Hai migliorato con gli anni?

F.Z.: Per certi versi sì, per altri no. Ci sonoragazzi che si siedono lì e si esercitano a fare scale per mesi così da potere suonare veloce e pulito. Non ho tempo per questo. Ho altre cose a cui badare, come il lavoro e la famiglia. Devo occuparmi degli affari legati a ciò che faccio. Non posso sedermi e impegnarmi ad imparare la scala melodica minore. Inoltre, sarebbe quello di una noia mortale. Ma mi piace lo strumento, il modo in cui suona. Suonare la chitarra è per me qualcosa di speciale. Amo farlo. Ma il mio approccio è più quello di un compositore al quale capita di suonare uno strumento chiamato chitarra. Infatti, sono più interessato ad essere conosciuto come "Frank Zappa, compositore americano" piuttosto che "Frank Zappa, Rock and Roll Guitar Hero". AI momento ho perso interesse a suonare la chitarra, lo sono invece per altre cose. Voglio dire, l'ho fatto per 15 anni e non ha senso continuare a farlo. Sto pensando di vendere le mie chitarre. Non che sia veramenta annoiato, è solo che non ho alcuna motivazione ad andare sul palco a suonarla. Ci sono comunque 20 milioni di chitarristi là fuori! Amo ancora invece sedermi a casa a suonare il blues. Purtroppo però la tolleranza del pubblico per la musica strumentale, specialmente in America, non è così grande. Se dò un concerto ed inizio a fare qualche improvvisazione con la chitarra, cominciano ad urlare "Dinah Moe Hum" e "Don't Eat The Yellow Snow".La gente si aspetta qualcosa di familiare, altrimenti non crede sia valsa la pena di spendere i soldi del biglietto. Allora, chi se ne frega. Non dico che non suonerò più la chitarra, ma a questo punto preferisco concentrarmi su lavori orchestrali e musica da camera.

La discografia: commento

A Frank Zappa e alla sua sterminata produzione musicale è legato un repertorio di immagini e di situazioni che attingono più all'arte pura, nella sua accezione nobile e innovativa, che alla mera connotazione sonora. Il suo corpus, sintesi e ultimazione di una mente geniale, è stato come esorcizzato, vivisezionato, analizzato e scomposto con gli strumenti della filologia, del giudizio critico e si è moltiplicato nelle tante versioni discografiche: eppure ogni volta che ci si accosta ad un brandello dell'opera zappiana ci si aspetta una miscela ad alto potenziale emotivo, di sarcasmo, ironia, vituosismo esecutivo e avaguardia.

Bizzarria compositiva ed eccentricità di contenuti; sperimentazione "per sé" e un'immensa cultura applicata alle note. Ma soprattutto originalità mai sterile, una sorta di codice immediatamente riconoscibile: come Frank Zappa c'è solo Frank Zappa!

Ideale spartiacque tra musica cosiddetta colta e tradizione popolare, è stato un grande del rock (sebbene tale termine suoni ampiamente e palesemente riduttivo) e a lui e ai suoi 50 e oltre lavori, si rifaranno, attingendovi come ad una fonte di sapere e di piacere, generazioni di musicisti a venire.

Paradossalmente, i 30 anni di matrimonio con il pentagramma hanno rappresentato solo l'inizio. Il bello, forse, deve ancora venire. Un sabba di suoni impazziti che ha generato una vera mitologia zappiniana; pochi testi nella storia della musica richiedono infatti a chi vi si accosta (non diciamo poi a chi cerca d'interpretarli) un tale sforzo fisico, muscolare e una tensione unita al rischio di sfiorare dimensioni, vicine alla follia.

Sebbene sia storia, il primo strumento con cui Frank Vincent Zappa, si cimenta è una batteria da 50 dollari con la quale si esibisce a 15 anni guadagnando ben sette dollari. La folgorazione avviene comunque sulle note di "The Complete Works Of Edgard Varèse" ed è come l'aprirsi di nuovi orrizonti. Risparmia i soldi necessari per una telefonata a New York e riesce, dopo un tentativo fallito, a parlare con il grande compositore francese, il quale gli confida di essere al lavoro per un lungo brano intitolato "Deserts". Per il giovane Frank, la cui famiglia si è nel frattempo stabilita a Lancaster (una cittadina ai confini col deserto dell'Antilope Valley a 50 chilometri da Los Angeles) è un segno del destino.

Il secondo disco che compra è "La Sagra della Primavera" di Stravinsky e, insieme ad esso, qualche album di R&B: gli elementi caratteristici delle fonti zappiane iniziano a delinearsi.

Un'unica persona a Lancaster divide tali gusti musicali ed è inevitabile che tra i due nasca una grande amicizia. Si tratta di Don Van Vliet in arte Captain Beefheart, siamo del 1956. Edgard Varèse morirà anni dopo, il 6 novembre del 1965, e per Zappa si spegnerà un mito. Contemporaneamente Zappa, decide che il drum set non fa per lui. Gli piacerebbe suonare il sax, ma quando riesce a catturare su disco anche un piccolo solo di chitarra, le sue orecchie sensibili si rizzano: è inevitabile. Merito anche dell'ammirazione per Johnny Guitar Watson (vedi dichiarazioni di Zappa nelle pagine precedenti) e del fratello Bobby, che gli cede in prestito la sua chitarra o almeno ciò che solo lontanamente ricorda quello strumento.

Nel 1960 forma i Boogie Men, e proprio in quel periodo acquista la sua prima elettrica. Meglio, l'affitta (una Telecaster nera) presso un negozio vicino a casa; per poi sostituirla con una nuova Jazzmaster, inseparabile per quasi due anni.

Si esibisce ora con Joe Perrino e i Mellotones e sul suo biglietto da visita fa orgogliosamente stampare "F. V. Zappa Composer-Master Blues Guitar".

All'inizio dei Sessanta, per arrotondare, compone colonne sonore per improbabili film tra cui "The Wold's Greatest Sinner" e successivamente, dato che nessuna label si azzarda a pubblicare i suoi pezzi, fonda l'etichetta Vigah! Il primo disco che incide s'intitola "Break Time"/"16 Tons" col nome di The Masters. É il 1962.

Finalmente l'anno succesivo entrano i primi soldi in cassa grazie alla soundtrack di "Run Home Slow", ed è con questo che si compra la Gibson ES-5 Switchmaster: la stessa che userà sui primi tre album delle Mothers.

Diventa anche proprietario dello Studio Pal che ribattezza Studio Z dove fa belle mostra lo slogan pubblicitario "Fa incidere la tua band, costa solo $15 all'ora".

La vita prende una piega ben diversa, abbastanza turbolenta, e anche il suo matrimonio con Kay va a rotoli (molti soldi andranno per la causa di divorzio).

Nel febbraio 1964 nascono i Soul Giants, una band di soul e R&B che vede insieme a Frank (chitarra e voce), Ray Collins, il bassista Roy Estrada, il batterista Jimmy Cari Black e il sax di Dave Coronado. Dapprima cambiano nome in Captain Glass Pack And His Magie Mufflers poi ripiegano su The Mothers, ma il fatto che debuttino il giorno dedicato ali mamma "è semplicemente una combinazione. Quando devi far quadrare il pranzo con la cena non badi a certe cose" dirà Zappa.

La loro musica è definita "weird" ("strana, atipica"). Infatti i ragazzi non ballano, vogliono ascoltare. Testi graffianti e musica come ideale sottofondo, look per allora trasgressivo e provocatorio: Zappa sa già cosa vuole. È qui che conosce la diciottenne Pamela Zarubica e la ribattezza Suzy Creamcheese, una presenza (diverrà la groupie per antonomasia) costante nelle sue canzoni e nella sua prima produzione discografica.

Arriviamo così al gennaio del 1966, periodo in cui le Mothers incidono "Freak Out!". Grande andirivieni nello studio. Con i nostri ci sono Kim Fowley, Paul Butterfield, Les McCann e un nugolo di strani tipi in perfetta sintonia con il concetto di freak appena creato da Frank, mentre ferve l'attività live. É curioso notare come, nel maggio 1966, le Mothers dividano per un paio di settimane il palco del Trip di LA con i Velvet Underground: una combinazione irripetibile per un pubblico altrettanto unico: da Jim Morrison ai Byrds, da Hendrix a Sonny & Cher.

"É forse la persona più priva di talento che abbia mai incontrato. È pretenzioso, accademico, e non sa suonare il rock and roll. E poi veste in modo strano. Credo non sia contento di sé stesso e ha ragione", così lo definisce Lou Reed!

Ma Frank fa spallucce; i giudizi altrui, non lo hanno mai interessato.

A luglio esce finalmente "Freak Out!", il primo album doppio, nonché concept della storia del rock. L'avventura ha dunque inizio, e da quel momento passeranno 60 album e quasi 30 anni. Fare perciò un bilancio, ma più che altro stilare una classifica delle varie opere in quanto ad importanza artistica, non è facile.

Commercialmente Zappa non ha mai goduto delle preferenze di un pubblico "da classifica", salvo casi sporadici ma, si sa che il rapporto genio-cultura popolare non è mai stato semplice. Meglio evidenziare invece que, capitoli musicalmente innovativi, concentrandosi certo sullo Zappa compositore, ma ure sul musicista raffinato e dotato di talento nor comune. Gli anni Sessanta meritano grande attenzione, a cominciare da "Absolutely Free" e "We're Only In lt For The Money" (ironica presa in giro del beatlesiano "Sgt Pepper") per finire a "Uncle Meat" e soprattutto "Hot Rats", splendida chiusura della sua prima decade.

"Hot Rats" è da molti ritenuto il vero capolavoro: tesi avallata sia dalle critiche entusiastiche che lo accompagnarono (cosa abbastanza rara almeno all'inizio) sia dalla presenza di brani immortali come "Peaches En Regalia", "The Gumbo Variations" e quella "Willie The Pimp", vertice creativo, nonché magnifica vetrina per l'estro chitarristico (splendido il solo centrale, scopiazzato negli anni a venire alla nausea).

Gli anni Settanta mescolano alla rinfusa vette eccelse del genio musicale con mediocrità che lasciano interdetti. Fermiamoci alle prime. Chunga's Revenge" è tutto da ascoltare, e così il live "Fillmore Fast" (i dischi dal vivo di Zappa, come numero e durata, sono secondi solo a quelli dei Dead) in cui splendono le versioni di "Willie The Pimp", "The Mud Shark" e la cover di "Happy Together" dei Turtles e, pure in tono minore, "Roxy And Elsewhere".

"The Grand Wazoo" è un progetto a sé, come la colonna sonora di "200 Motels" (comunque di indubbio valore storico) e "Sheik Yerbouty".

Nel 1979 esce la trilogia di "Joe's Garage"; tre album che, se ridotti a uno e mezzo, sarebbero stati eccezionali. "Forse il mondo non è pronto per questo: una storia divenuta opera; ma confido nella loro maturità", ammise l'autore.

E veniamo agli Ottanta, che si aprono nel segno della chitarra. Imperdibili, quasi fosse un'antologia dello strumento, i volumi "Shut Up And Play Yer Guitar", "Shut Up And Play Yer Guitar Some More" e "Return Of The Son Of Shut Up And Play Yer Guitar" (poi racchiusi in un CD doppio) forniscono una traccia ideale per entrare nel suo regno chitarristico e si affiancano all'altro doppio CD "Frank Zappa Guitar"; ecco, qui è racchiuso tutto lo Zappa formato Gibson e Fender e pobrebbero rappresentare il testamento perfetto del musicista.

Ricordiamo infine i matrimoni riusciti con 'e grandi orchestre ed i lavori interlocutori come "Baby Snakes" e "Francesco Zappa", omaggio all'avo compositore dotto.

Per ciò che concerne gli anni Novanta a parte i per così dire nuovi "Broadway The Hard Way" e "Make a Jazza Noise Here", da segnalare la monumentale collana "You Can't Do That On Stage Anymore" curata maniacalmente dallo stesso Frank (sei CD doppi!).

Ultimo appuntamento "The Yellow Shark" degno congedo. God bless you Frank.

Paolo Battigelli


Another quite different version of the interview part was printed in DownBeat, February 1983.