Zappa

By Riccardo Bertoncelli

L'ultimo Buscadero, September 1983


1. Un'altra estate, tanti anni fa (tredici, per l'esattezza), scoprimmo lo Zappa orchestrale e ce ne invaghimmo. Fino a quel momento conoscevamo altri Zappa, egualmente fascinosi ma diversi: lo scandalista, allora scambiato per «agitatore sociale», che posava nudo sul cesso e raccontava di borghesoni americani smaniosi di farsi le ragazzine sul prato della Casa Bianca («What'd you do daddy?»); il rockman paradossale, che caricava la sua musica e i testi di polemiche e capricci, predicando il freak out, lo «sballo creativo» (attenti: senza assunzione di droghe!); il romantico frivolo, impegnato a eccedere la misura di certe stupid-songs della tradizione giovanile, imbrodandosi di tutto il gusto, tutto il kitsch, tutte le godibili tossine di quella musica (Ruben & The Jets).

Poi, appunto, l'orchestrale. Ci capitò per le mani il Lumpy Gravy registrato un paio d'anni prima con la Abnuceals Emuukha Symphony Orchestra e sempre sfuggito alle nostre ricerche; e ci arrivò alle orecchie, fresco di stampa, il King Kong registrato con Jean-Luc Ponty e un piccolo ensemble, ridotto, ahimé, si lamentava l'autore, per disdicevoli motivi di ordine economico (e un brano si intitolava appunto: Musica per violino e orchestra con pochi fondi a disposizione). Grande musica, lo pensiamo anche oggi; e se Zappa ha sempre inclinato verso il Lumpy Gravy, per lungo tempo in testa alle classifiche dei suoi lavori preferiti, noi si predilige di gran lunga il lavoro di Ponty, bizzoso si ma essenziale, elegante nella sua eccentricità, cui forse proprio la necessaria economia ha conferito lo stile giusto, la perfetta misura.

Si ascoltino invece i sessanta minuti dal vivo all'Ucla Pavillion di Hollywood, di quegli stessi mesi, con l'Orchestra Filarmonica di Los Angeles diretta da Zubin Metha (1). Lì, per la prima volta, lo Zappa orchestrale assume piccola forma mostruosa; molto di quel che suona è frutto di una latente schizofrenia, certi dilungamenti, certe parti d'insieme troppo dense o sospirose, e l'impressione generale è quella di una musica affetta da aerofagia, capace di animarsi solo quando squillano le silly melodies di quegli anni fortunati, siano i temi dell'Uncle Meat o quelli di Absolutely Free. Certa vanità della musica, certa pompa orchestrale niente affatto ironica si ritrovano anche in un quaderno strumentale più recente, Orchestral Favorites (2). Lo Zappa di quei brani (che tra l'altro guasta, rivisitandola, una delle sue pagine più deliziose, The Duke of Prunes), non è molto diverso dal giovinotto poco più che ventenne che nel 1963 scriveva per il suo cassetto Opus 5 (3); la scrittura è si migliorata, eccome, ma non l'impaccio che l'artista mostra una volta al cospetto della forma orchestrale, lo smarrimento in quel mare magno dove è necessario munirsi di bussole culturali almeno funzionanti, se non sofisticate. Chissà come digrignerebbe i denti, lo Zappa, a sentirci dir così; e quali spaventevoli lingue di fuoco erutterebbe dalle fauci, lui che con tanto orgoglio lo scorso anno, a Milano, nel corso di una conferenza-stampa particolarmente serena e felice, mostrava al popolo dei giornalisti i grandi libri dei suoi spartiti, rossi con fregi d'oro, e garrulo spiegava che Stink Foot era un balletto in via di allestimento e che di altre pagine Pierre Boulez addirittura avrebbe curato una esecuzione, nei mesi a venire. Come dirgli che lo Zappa orchestrale, col passar del tempo, pareva il più ambiguo e bruttino di tutta la galleria degli Zappa possibili, e che molto meglio sarebbe stato fermarsi un passo in qua, al grande ensemble rock come quello del Grand Wazoo?

Ma se anche avessimo parlato (dico tutti, tutti gli zappologhi leali e colmi d'affetto), Zappa non avrebbe ascoltato. Convinto com'era che la sua musica per orchestra fosse ottima e non ancora presa in considerazione nella dovuta maniera, una cosa sola gli premeva: levarla dai cassetti e innalzarla alla gloria, raccogliendo fondi e uomini per un allestimento il più possibile serio e prestigioso.

2. In un articolo dei suoi di qualche tempo addietro, tra l'ironico e il lamentevole (4), Zappa raccontava di due grandi progetti orchestrali recentemente abortiti, con il Municipio di Vienna e la Radiotelevisione Austriaca e con l'Holland Festival. Le chiamava «orchestral stupidities» e si dilungava a spiegare il perché di quei fallimenti; musicisti gretti che avevano cercato di lucrare un maggior compenso, l'uno all'insaputa dell'altro, e organizzatori pasticciosi che avevano promesso fondi non disponibili.

 L'impressione che se ne ricavava era che Zappa non avrebbe mai portato a termine quell'agognato e «storico» progetto; troppo complessa la rete organizzativa, poco attraente forse, in quegli ambienti, il suo nome e comunque elevatissimi i costi, nell'ordine delle centinaia di migliaia di dollari.

Alla fine del 1982, invece, l'improvviso coup de theatre: Zappa e il suo manager, Bennett Glotzer, volano a Londra per definire gli accordi con la London Symphony Orchestra, per un concerto di «saggio» e una serie di registrazioni da tenersi nelle prime settimane del 1983. E il 12, 13, 14 gennaio, puntualmente, ecco la London Symphony Orchestra diretta da una giovane bacchetta americana di origini giapponesi, Kent Nagano, alle prese con le migliori partiture zappiane, con la supervisione dell'autore. Lo schieramento orchestrale è una meraviglia agli occhi di Zappa: centodue elementi più tre ospiti, con due sezioni d'archi, una di viole, una di violoncelli, e contrabbassi, ancie, legni e Ottoni, un suonatore di timpani, percussioni, un'arpa e un pianoforte o celeste. La Barking Pumpkin, l'etichetta zappiana che nelle ultime settimane si è staccata anche dalla CBS e vola ormai nel «vuoto discografico», completamente libera, si accolla il compito di pubblicare il materiale; registrazione digitale, su 24 piste, in più volumi. li primo, con seriosa copertina di color grigio e i nomi «Zappa» e «London Symphony Orchestra» in rilievo, esce nei negozi in queste settimane.

Sono quattro pezzi, due inediti (Sad Jane e la lunga Mo & Herb's Vacation, in tre movimenti) e due ben noti agli zappologhi che amano frugare tra le carte minori del maestro: Pedro's Dowry figurava già nel quaderno di Orchestral Favorites e, quanto a Envelopes, se ne dava versione per gruppo rock in fondo all'album di Drowning Witch, lo scorso anno. Tra l'una pagina e l'altra, nessuna frattura stilistica, nessun salto; se un pregio c'è nell'album è questa omogeneità, questa cifra regolare dell'autore. Ma quando l'autore è Zappa, un musicista cioè che ha edificato la propria fama sulla pietra della imprevedibilità, del capriccio, della più estrosa varietà, ha senso parlare di «pregio»? E da dove mai il puntiglioso governo delle cose sonore che subito balza all'orecchio, la scrittura diligente e puntigliosa, massi, l'ordine nemmeno dissimulato delle varie parti? Non che Zappa non possa essere, per destino o maledizione, scrupoloso, sereno, ordinato. Ma certe virtù il Nostro sembra assumerle un po' forzosamente, ecco il punto, quale moneta da pagare per avere in cambio lo status di musicista vero»; e di converso, seguiamo sempre il nostro incerto ragionamento, gli sembra giusto cedere certi lati fatui e poco «seri» del suo carattere, il depravato polemismo, l'amore per quisquilie e fandonie musicali, certa febbrile fantasia incurante d'ogni conseguenza. Pare insomma a Zappa che così si metta la testa a posto, una volta per tutte; il che non vuol dire rinnegare il passato e magari voltar la faccia dall'altra parte quando per strada s'incontra il Jimmy Carl Black ma, insomma, è un gran bel passo e necessario sulla via della Maturità, e della Gloria.

Sia chiaro allora che uno Zappa così maturo non lo auguriamo nemmeno al peggiore dei nostri nemici. Perché, a parte certi momenti che proprio durano attimi (l'inizio tenero e trasognato di Sad Jane, l'accelerazione finale con splendido puff di coda di Pedro's Dowry), lo Zappa eseguito dalla London Symphony Orchestra è tedioso e per buona parte banale, e nulla aggiunge e anzi sottrae alla meritata sua fama. Dov'è traccia, per fare un esempio, dei celeberrimi ritmi zappiani, quei vertiginosi cambi di passo che schiantavano i nervi dei musicisti e scatenavano l'adrenalina del popolo fedele davanti al giradischi? E le deliziose stupidità melodiche ammannite così, con nonchalance, e presto incamerate dalla parte più concupiscibile del cervello? E il gusto per i timbri paradossali, per certe paste così grosse che sembravano debordare oltre il vinile o tanto luminose che ci potevi guardare in trasparenza (e farci grosse bolle, come con la gomma da masticare)?

Noi troviamo mediocre anche l'ideuzza di aggiungere una batteria (l'ottimo Chad Wackerman) in primo piano oltre l'orchestra, come strumento-guida. È quel che resta della vecchia idea di combinare strumenti della cultura rock con strumenti della cultura classica, carezzata dall'artista fin dai giorni del 200 Motels citato; ridotta a tali termini la cosa riesce un artificio niente affatto brillante, una sovrapposizione pura e semplice, banale e truccata, che mai ci saremmo attesi da uno Zappa avvezzo ai più spericolati funambolismi ritmici.

3. La tentazione, che sapremo evitare, è di pensare a voce alta: «Non è lui» oppure «Gli passerà». Questa spiegazione dell'artista in chiave schizofrenica l'abbiamo già sperimentata in altre stagioni, con dubbi risultati; improvvisi colpi di sole e delusioni esistenziali o cattive influenze astrali facevano sì che l'artista perfetto del '70-'71 si legasse poi a Kaylan & Volman e più avanti accettasse di far la parodia di se stesso con Captain Beefheart, per rinsavire infine a tempo debito. Da grandi siamo diventati più saggi e non aspettiamo più alcun cadavere sotto i nostri ponti. Non c'è insomma un «doppio» maligno di uno Zappa buono, che ha sorprendentemente preso in mano il microfono e sta trasmettendo a scapitolo dell'altro; questo Volume 1 è frutto invece di una testarda e periodica semina durata anni, disco fortissimamente voluto come forse nessun altro dell'intero catalogo discografico. Così stanno le cose e a noi dire che forse non avevamo capito, che c'è stato un grosso equivoco e i nostri ballons critici non erano andati, ieri, abbastanza lontano per capire.

Perché, sia chiaro una volta per tutte, non è con opera e strutture del genere che Zappa può sperare di meritarsi il vitalizio che avevamo in animo di proporre a suo favore, coi fondi dell'UNESCO.

4. E le fonti? Le influenze, i fidi maestri ispiratori? Siamo curiosi di leggere i critici, specie quelli di stretta osservanza rock; e anche i classici, se a qualcuno piacerà cimentarsi con tali amenità. Diciamo subito le nostre curiosità; quanto di Stravinsky, magari in edizione Reader's Digest? E del tormentato Pendereckij che Zappa stesso indicava, in una intervista di qualche anno fa, come l'autore prediletto?

Contiamo sul buon gusto dei colleghi per non trovare mai nominato il sempre nominato Cage, la qual cosa vale anche per Edgar Varèse. li quale Varèse, Zappa lo ha anche scritto ma nessuno gli ha mai dato retta, fu adottato in tenera età solo perché suonava genericamente «strane cose» e in una foto di copertina «aveva un'aria così stravolta da sembrare uno scienziato pazzo» (Questo volume 1 non è disco da «scienziati pazzi»: e infatti lo Zappa ritratto in bianco e nero sul retro di copertina è un bel quarantenne lindo e sereno, che per l'occasione ha perfino smussato gli angoli dei suoi baffi e della sua «mosca»).

5. Allora tutto a posto, chiaro, preciso? È dunque questo lo Zappa orchestrale definitivo? Neanche per sogno. «Ogni sforzo è stato fatto per evitare errori ma fino a che non avremo a disposizione fondi ben più cospicui per le prove e le registrazioni non si potrà nemmeno lontanamente pensare di raggiungere la perfezione». Incorreggibile Zappa: dietro una frase soltanto, una porta lasciata aperta su un orizzonte de polemiche e veleni!

Riccardo Bertoncelli

(1) 200 Motels, bootleg originariamente edito dalla TMOQ.

(2) Orchestral Favorites, Warner Bros., 1979. li disco è uno dei tre stampati dalla Warner contro il volere di Zappa, al momento della risoluzione del contratto. Sebbene manchino le note, si ritiene che le registrazioni si debbano alla «New Emuukha Electric Symphony Orchestra» (37 elementi), diretta da Michael Zearott. Gli zappologhi più accreditati indicano come data certa il settembre 1975.

(3) È un'opera giovanile ufficialmente presentata da Zappa nel corso di una lecture tenuta al St. Mary's College, nel 1963. Ne è traccia in un nastro di incerta circolazione e nel celebre, introvabile bootleg di 12 ellepì.

(4) Frank Zappa, Two Orchestral Supidities, su Musician n. 36, ottobre 1981.