Frank Zappa "Broadway the hard way"

By Paolo Bertrando

Buscadero, February 1989


FRANK ZAPPA
«Broadway the hard way»

(Barking Pumpkin)

In genere i rock-men pubblicano un disco e poi gli intitolano una tournèe. Ci voleva Zappa per fare il contrario: dedica la tournèe 1988 a un disco non ancora in circolazione («Broadway the hard way» per l'appunto), ed estrae poi le registrazioni proprio da quei concerti.

Accingiamoci dunque per l'ennesima volta a commentare i risultati.

Siamo in presenza, innanzitutto, di un classico «comedy record zappiano», in cui testi e voci (e giochi di voce) sono più importanti della musica stessa, alla maniera di «Just another band from L.A.» : un'opera di umorismo a tratti blando a tratti sarcastico, di quelle che hanno reso Zappa l'unico autore riconosciuto di operette rock.

Sotto la maestria solita degli arrangiamenti stanno testi giocherelloni in rima baciata, con ricchi riferimenti al (peggior) costume statunitense: si parte da un velenifero epitaffio per Presley («Elvis has just left the building»), si transita attraverso un pezzo sui predicatori iperevangelisti («Jesus think you're a jerk»), si ripercorrono i vizi antichi («Dickie's such an asshole») e moderni («When the lie's so big») dei Repubblicani, quindi l'inconsistenza dei Democratici («Rhymin' man»), per approdare a un monologo di Ike Willis, «The untouchables» dedicato all'amministrazione Reagan.

La musica sostiene, onnivora come sempre, assimilando i materiali più vari, con particolare attenzione a tutto il bitume della musica leggera: canzonetta ispanica, rap, canzone verniciata alla Whitney Houston, country and western, con un'amabile digressione blues; il tutto mischiato a ricordi di colonne sonore e detriti d'ogni genere, incluso «San Martino campanaro».

E sta qui, probabilmente, il sigillo migliore di quest'operina, che, se non recupera la creatività dello Zappa maggiore, ha il merito di giocare in scioltezza con la musica, anche perché l'ormai inevitabile banda zappiana è arricchita da cinque fiati (con i fratelli Fowles in bella evidenza) che completano le trame e vivacizzano debitamente i colori.

Come tutti gli ultimi Zappa, un album pregevole ma senza brividi. Se si esclude, forse, un assolo di classe squisita e finalmente diverso a nobilitare la melensa «Any kind of pain».

Paolo Bertrando