Frank Zappa

By Diego Perugini

Buscadero, July 1988


Ce ne per tutti, signori e signore, Frank Zappa non si risparmia, né sul palco, né in quanto a chiacchiere; se ne sono accorti i quaranta giornalisti ammassati in una saletta del Palatrussardi poco prima del concerto milanese.

Ironico e beffardo, Zappa sembra essersi divertito in quella mezz'ora di forsennato ping pong di botta e risposta; e ha vinto lui, come previsto, piazzando risposte mordaci a domande non sempre all'altezza. Vari i temi, da Reagan («Al summit Gorbaciov lo ha fatto sembra una scimmia e gli ha fatto un favore, perché Reagan è meno di una scimmia») alla situazione generale («Nel mondo c'è troppa follia, basti pensare alla guerra, ma la causa di tutto è la religione»).

C'è chi insiste su domande d'importanza vitale come il presunto interesse di Zappa per il basket («odio gli sport – taglia corto un pò stizzito – vi sembro forse un giocatore di basket?») e chi gli ricorda i dischi passati («In concerto suono pezzi vecchi, ma in realtà non mi piacciono; non so quale sia il mio album migliore e quale il peggiore, non riascolto mai quello che ho inciso»).

Si parla del futuro («I due dischi doppi appena usciti sono solo un assaggio: tra poco saranno pronti sei CD con tredici ore e mezza di musica live») e del suo ritrovato amore per la chitarra («Ho smesso di suonarla il 24 dicembre 1984 ed ho ripreso adesso perché mi sembrava di essere un idiota a stare sempre lì sul palco con la bacchetta in mano»).

Un pò di smentite («Non so niente di una mia collaborazione con Philip Glass»; «Non è vero che ho abbandonato il lavoro in studio») e qualche conferma («Sì, odio la stupidità e anche perdere tempo, come in questo momento»).

Qualcuno si chiede cosa farà quando sarà vecchio e senza ispirazione; la risposta è immediata, calma e piacevolmente velenosa: «Il critico musicale». Diavolo di un Zappa ...

IL CONCERTO

Uno dei migliori appuntamenti della stagione, difficile da riassumere in poche righe, come invece dobbiamo per ragioni di spazio. È stato il trionfo di un genio quarantasettenne, grande professionista (le prove del tour sono durate quattro mesi) ed estroso musicante (centosei i pezzi in repertorio, variabili di sera in sera). Ha guidato i coraggiosi undici elementi della sua piccola orchestra sui sentieri della contaminazione più totale, mischiando con intelligente e consapevole follia, rock, jazz, country, blues, avanguardia e classicità, musica contemporanea e «stupid song». Zappa è tornato alla chitarra, con assoli strani e compiaciuti, si diverte con le citazioni assurde, da Stayin' Alive a Chattanooga Choo Choo.

Nelle due ore abbondanti di concerto, menzione speciale per la cattiva, ma suadente My Guitar Wants to Kill Your Mama e la «dolce» Love of my Life Sale sul palco anche Fabio Treves con la sua armonica per Tiny Sheets, mentre poco dopo esplode The Torture Never Stops, lunghissima e infarcita di variazioni sul tema, miglior momento della serata. Concludono l'esibizione una curiosa versione reggae (!) del Bolero di Ravel, irriverente ma non troppo, con 'Zappa strampalato direttore d'orchestra e l'inattesa cover della allmaniana Whippin' Post con splendido assolo su ossatura blues. Diavolo di un Zappa ...