Zip Zap

By Maurizio Baiata

Ciao 2001, 19 July 1981


• New York.

Un apprezzamento. Si è trattato solo di un apprezzamento, ma piuttosto sostanzioso. Frank Zappa, lo conoscete, è capace di inzaccherare la faccia di una vecchina newyorchese con cagnino in braccia e dirle imperiosamente: « Vada a vedere il concerto dedicato a Varese, su... si sbrighi Signora », è quindi anche in grado – credo lui solo al mondo – di organizzare una cosa del genere, su musiche di un maestro misconosciuto e richiamare, sotto la volta di un Palladium Theatre solitamente frequentato dai giovinastri del rock, tremila anime altrettanto dannate.

Rispetto alla cronaca di quanto si è visto e sentito nella proposta di musiche di Varèse condotte dal maestro Joel Thome ed eseguite dalla Orchestra Of Our Time, un insieme formato esclusivamente da musicisti classici, da strumenti altrettanto tecnici (insomma da un'orchestra variabile nel numero degli elementi e nelle possibilità linguistiche), ci sono anche le interessantissime note del signor Frank Zappa regalate ai recorders della dozzina di giornalisti invitati per l'occasione. Zappa ha uno strano atteggiamento nel confronti degli aggeggi elettrici, sembra quasi esserne impaurito, tratta i mini registratori come se fossero contenitori per uova, li allinea davanti a sé, su un alto leggio vuoto che si riempie appunto subito di piccole scatole nere con microfono incorporato, mentre solo il mio vecchio cassette, ingombrante ed anacronistico, si serve ancora di un antiquato microfono tradizionale.

Sul filo del quale, il maestro Joel Thome, un attimo confuso dalla presenza di cotanti giornalisti, inciampa rumorosamente, si scusa con Frank che guarda caso sorride sotto i baffi e dice battute spiritose ad una bionda alta. Insomma siamo ai Carol's Studios di New York, zona Quarantaduesima strada per niente ben frequentata, e tutti attendiamo che Frank, nel suo bel giubbotto di cuoio, inizi a narrarci delle avventure di un certo Mr. Varèse.

Frank ora inizia, vuol darci qualcosa a cui pensare prima di proseguire nella discussione del perché si sia organizzata una così importante manifestazione, e precisa le linee essenziali della vita e della storia di Edgar Varèse, che lo stesso Zappa ha più volte definito, in altre occasioni, "l'idolo della mia giovinezza", subendone sin da piccolo il fascino della personalità inquieta ed estranea al successo, come sarebbe stato logico per un compositore del suo calibro.

Edgar Varèse, per 3/4 francese e con 1/4 di sangue italiano nelle vene, ha vissuto a cavallo di due secoli (1883-1965), ma non ha prodotto molta musica; restando legato al filo della sperimentazione, direi dell' "organizzazione" dei suoni in una musica che in due parole si poteva definire "new music", una musica ora spaziale ora materica, ora tangibile a volte assolutamente fuori dagli schemi.

La sua attitudine alla "diversità" lo ha portato alle soglie del rumore, che ha coraggiosamente oltrepassato, come? Se ne è capito qualcosa discutendone proprio con questo suo baffuto figliastro, questo notissimo suo estimatore che ha voluto dedicargli con affetto un tributo che ha stabilito per una sera, qui a New York, una linea magica tra composizioni del passato, datate attorno agli anni Venti, con la sola  eccezione di "Desènts" del '54, ed il presente di un Palladium gremitissimo di giovanissimi, attenti al richiamo di Zappa, ma forse più ancora curiosi di ascoltare la musica fatta di frazioni di agglomerazioni elettro acustiche, fondamentalmente di strane atmosfere musicali.

Se nei confronti dei giornalisti ha ostentato il solito atteggiamento rabbioso e ragionato, « i critici ed i giornalisti solitamente scrivono di musiche di cui capiscono pressoché nulla », con il pubblico del Palladium ha invece simpaticamente conversato, ha parlato dei suol progetti futuri, del componenti fa sua band in giro per il mondo, del nuovo album, ha firmato autografi, ha baciato ragazzi e ragazze protesi verso di lui ed allungati disperatamente verso il palco sino a toccarlo, protetto come empre dall'ombra massiccia ella sua guardia del corpo di olore che non lo abbandona eanche un secondo, dopo il famoso "volo" di tre metri ed na gamba rotta che ci fece scrivere qualche anno fa qualcosa intitolata "Zappa zoppo".

Le poche parole che ho scambiato con lui al termine della conferenza stampa non sono bastate ad illuminarmi sulla personalità complicatissima di quest'uomo che – mi dico in fondo in fondo – sembra tanto scorbutico e cattivo, ma in realtà è una pasta d'uomo, innamorato soprattutto del suo lavoro. I frutti ci sono, venti anni di attività che tutti riconosciamo lucida e puntuale su tutto, non un solo appuntamento mancato, non un bersaglio non raggiunto. L'ultimo, la riproposta delle musiche di Varèse, è stato colto in pieno.

"Ionisation", "Offrandes", "Intégrales" sono state le composizioni più vicine nel linguaggio alla sperimentazione che va da Webern a Stravinsky: "Desert", magici ventitré minuti di suoni acustici interrotti nella loro organizzazione da tre momenti di musica elettronica, registrata su nastro, è stato il clou della serata, senza intervalli tra i suoni privi di tempo che uscivano dalle percussioni e dalle corde, interpolati dai volumi peni e preoccupanti dei generatori di frequenza... piccoli eroismi, ma per dirla con i primi uomini sulla luna, Frank (lui stesso) Zappa è un grande passo avanti per l'umanità.

Se non ci fosse stato... quel papà di origine italiana a questo punto saremmo orgogliosl solo di Cristoforo Colombo. Il quale, si sa, non si era mal occupato di rock.

Maurizio Baiata