Zappa in New York

By Massimo Bassoli

Popster, June 1978


«Zappa in New York»
W.B. 2D 2290

Che la musica rock è impossibilitata a mummificarsi, mantenendo così una forte carica di attualità, è dimostrato dagli eventi. Più o meno convincenti, ma pur sempre inequivocabili.

Ognuno segue la propria strada, preoccupato soprattutto di dimostrare a se stesso quanto sia ancora corretto essere presente sulla scena internazionale.

Le «Pietre Rotolanti» cercano di rifarsi una verginità rispondendo ai nipotini punk che gli avevano preso la mano. Gli Who sono intenti nella realizzazione della loro opera postuma (fatta da loro stessi, rigor mortis!) e la partecipazione di Perry Como come «Pinball Wizard» li sta facendo impazzire. I Beatles sono tornati ad essere quello che erano prima che tutto accadesse: dei bravi ragazzi che avevano capito tutto della melodia e della tenerezza universale che si manifesta dai 16 ai 38 anni. I Boy-Scout californiani, tutti buone vibrazioni e surf, nel frattempo hanno scoperto che il regno dell'armonia universale è stato oramai patteggiato a tavolino con tequila, heavy rock, funky e un po' di cocaina. A sospirare, in Europa, è rimasto solo qualche impiegato di banca amante della musica. Tutti gli altri, e sono una legione, dato il periodo di riconversione, si sono dati al commercio; producono salsicciotti di vinile più o meno digeribili. Del resto tutti abbiamo famiglia, diceva il portiere sotto casa per giustificare le mance di Pasqua.

Quindi per i fruitori nostalgici, quelli ortodossi all'inverosimile, quelli che «la musica rock mi piaceva quando era espressione di una precisa realtà sociale. La stessa che oggi, per la mia situazione, mi fa piacere il jazz in quanto espressione di una classe sociale che si scontra con le strutture ghettizzate...» non restano che sbiaditi ricordi ed un solo «abbomamento».

I ricordi si chiamano Fugs, Bonzo Dog Doodah Band, Kim Fowley, David Peel, Tim Buckley, l'abbonamento Frank Zappa.

Un abbonamento perché in quanto tale preciso, puntuale, costante. Non stiamo parlando delle spedizioni italiane, ovviamente. La schiera degli ortodossi illuminati al suono di questo nome inizia a piroettare da Varèse a Lenny Bruce, da Eric Dolphy a Tiny Tim, da Charles Ives a Cecil Taylor e dimenticano, volutamente sdegnati, il rhythm 'n blues, il rock degli anni '50 e tanto, tanto sesso.

Zappa in New York è l'ennesimo album delle beghe legali dell'artista con la casa discografica. Il disco era pronto e confezionato dall'ottobre del 1977, parcheggiato in magazzino vede la luce ora a distanza di sette mesi dopo che tutto si è appianato al peggio con la Warner Brothers. Registrato dal vivo, a New York appunto, tra Natale e Capodanno 1976 e questo l'album dell'ultima produzione che più degli altri lo rappacificherà con tutto quel pubblico europeo che lo ha sempre amato per un'immagine che tutto sommato non era proprio la sua. L'act e la musica di quest'anno sono già molto diversi. C'è già un'altra confezione quadrupla pronta. Si chiama «Lather» e non aspetta altro che di essere distribuita. Anche da noi. Negli Stati Uniti costerà 28 dollari ed al proposito Zappa ha detto: «Il motivo principale che mi spinge a queste operazioni è che un unico album con 18 minuti per facciata non ti dà molte possibilità di fare qualcosa complessa. Uscirà contemporaneamente un estratto del set, un album singolo dallo stesso titolo. L'album singolo è per le persone che non hanno i soldi per il set ed il set è per le persone il cui interesse va oltre il singolo album. La confezione va dalla musica orchestrale al punk, dalla country musical jazz, dal rock 'n roll alle composizioni per chitarra. È un conveniente continuum di tutto quello su cui ho lavorato recentemente. Nella maniera in cui si scrive di me in varie riviste, possono solamente giudicarmi per quello che è uscito nei dischi più recenti e siccome non puoi realmente mostrare nessun sviluppo in un album singolo è difficile per me, perché quali tutte le mie canzoni sono troppo lunghe».

Ma torniamo all'album di questi giorni. New York è per sua stessa ammissione l'audience preferita di Zappa, la più attenta, la più sensibile alle trasformazioni della sua musica. La confezione è tutta fatta in casa, la prima di anni non supervisionata dall'art director tanto amato Cal Schenkel; la copertina è del figlio Dweezil, le foto della moglie Gail, le note di copertina con i testi e le presentazioni di tutti i brani, autografi. Un grosso credito di musicisti per la occasionale settimana new-yorkese: i fratelli Brecker, Tom Malone, David Samuels e Ruth Underwood, chi si rivede!

Poi il gruppo, capitanato da Terry Bozzio senza dubbio il miglior batterista che Zappa abbia mai avuto, insieme ad Ansley Dunbar; il bassista, novello delfino, Patrick O'Hearn, Eddie Jobson catturato prima del suo rientro in Inghilterra ed Ray White classico musicista temporaneo che vive l'esperienza di Zappa giusto la durata di una tournée, ma che non ha nulla da invidiare a tutti i suoi colleghi. Nella scelta dei brani due riprese storiche: «Sofa» riarrangiata e già presente nell'album «One size fits all» e la preistorica «Big Leg Emma» hit del 1967 nel periodo del Garrick Theatre.

«Titties & Beer» è un po' il manifesto di parte della produzione attuale; un lungo dialogo tra Zappa e Bozzio che impersonifica il diavolo, in una mefistofelica trattativa per l'acquisto dell'anima. Poi le espressioni più tipiche della composizione zappiana: «I promise not to come in your mouth» (a proposito di sesso!) con una bellissima apertura semi-sinfonica d'organo di Eddie Jobson, «Manx needs Women» tratta da un esercizio di chitarra scritto da Zappa per la rivista Guitar Player Magazine, The Black Page 1 e 2 elaborazione per «adolescenti new-yorkesi disco». Tutto ciò nel primo album. Nella seconda parte tre sole composizioni, «Honey don't you want a man like me?» dal ritmo ossessivo ed il testo che descrive l'aggancio di una impiegata da parte di un tipo alla «Playboy», seguito forse dal brano più bello dell'intero album, un blusy costante per l'«Illinois Enema Bandit» tratta da un reale fatto di cronaca, cosa ne avrebbe fatto con la propria voce Napoleon Murphy Brock! Il brano termina con una citazione al primo «Freak Out» cantando la giustificazione del bandito «È probabilmente ciò di cui tutti hanno bisogno...»

Ascoltare per intendere a pieno. La quarta ed ultima facciata ha per titolo «The Purple Lagoon» e richiama con molta precisione il suono del «Grand Wazoo». È stata riarrangiata dopo essere stata composta per lo special tv registrato da Zappa sempre in dicembre ed intitolato, manco a farlo a posta: «Saturday Night Live». Non sfugge nulla.

Cosa altro dire. Assolutamente nessun giudizio. Lasciamo la parola a lui: «Amo il rock 'n roll e non mi interessa la direzione in cui si orienta, perché mi preoccupo solamente di ciò che faccio io. Chi sono io? Un arbitro di gusti per l'industria discografica, tutti hanno il diritto di ascoltare la musica che vogliono ascoltare, che a me piaccia o no. Più ce n'è meglio è, perché allora ci sarà una distribuzione diffusa e tutti saranno contenti. Specie i discografici». O.K. noi ti ascoltiamo.

Massimo Bassoli