Frank Zappa "Waka / Jawaka - Burnt Weeny Sandwich"

By Enzo Caffarelli

Ciao 2001, October 8, 1972


FRANK ZAPPA
Waka / Jawaka - Hot rats
(Bizarre Reprise)

MOTHERS OF INVENTION
Burnt weeny sandwich
(Bizarre Reprise)

Dopo una lunga parentesi di incertezze, Frank Zappa ha smesso l'abito giullaresco ed ha indossato nuovamente la veste seria del musicista autentico, bizzarro irriverente rivoluzionario quanto si vuole, ma sempre grande e geniale.

Le ampollosità, le enfasi di « 200 Motels », gli alti e bassi e le incoerenze di « Just another band from L.A. », la routine scolastica di « Fillmore: live » sono completamente sorpassati da un album che fino nelle intenzioni del titolo e della copertina vuole collocarsi sulla scia del grande « Hot rats », e più da lontano di « Lumpy gravy », di « Chunga's revenge » e di « Burnt weeny sandwich ».

Da qualche angolo astruso della sua mente, il sempre lucido e disincantato zio Frankie ha tratto una sequenza di immagini meno policrome ed intense di quelle che compongono il monumentale mosaico di « Hot rats », ma egualmente sottili e gustose, lasciando da parte Broadway e John Cage, riducendo al minimo le parti cantate e gli umori più sardonici e provocatori del suo passato. Significativo è il fatto che dei musicisti compresi in « Hot rats » nessuno è presente al fianco di Frank nell'ultimo album, neppure il fedelissimo Ian Underwood che pure lo ha seguito nel nuovo gruppo post mothers.

Quando si parla dello Zappa grande musicista, lo si classifica quasi automaticamente come jazzista. Ma è veramente jazz la sua musica? Quali connotati stilistici portano la critica ad attribuirgli una simile etichetta? Ascoltando « Waka / Jawaka » e mettendolo a confronto con un qualsiasi album di jazz d'avanguardia inglese o americano ci si accorge come Frank, pur avendo abbandonato la geometria statica ed ipnotica della formula rock, e pur avendo ormai spiccato il volo con l'ultimissimo gruppo verso un orizzonte più autenticamente jazzistico, qui si accontenti ancora di una musica tutta sua, senza troppe improvvisazioni, meno esile e sperimentale nelle argomentazioni sonore: una musica ricca di una sua corposità e di una sua forma ben definite, non facile, non viscerale, non elementare, ma pur sempre assimilabile senza sforzi particolari. E forse in questo potere di comunicatività è un altro grande pregio dell'artista.

Gli accenti jazz di « Waka/Jawaka » possono essere in ogni caso colti nella lunga suite « Big swifty », con il lavoro di Frank in primo piano, coadiuvato da un cerebrale e sofisticato George Duke, le cui tastiere sono state arricchite da particolari accorgimenti dovuti ancora una volta all'ingegno di Albert Moog, mentre Sal Marquez drammatizza l'atmosfera con i timbri ovattati delle sue trombe, e Aynsley Dunbar gioca in maniera sconvolgente sui piatti, unico punto fisso in tutti e quattro i titoli della raccolta con Marquez e con Erroneous, enigmatico bassista dietro il quale potrebbe nascondersi un nome molto noto.

« Your moth », sulla seconda facciata, è un breve episodio vocale basato sulla cadenza del blues; e « It just might be a one-shot deal » ci restituisce lo Zappa commediante comico e piccante, una sagra paesana con un testo incomprensibile in chiaro accento scozzese, raddolcita ed inframezzata però dalla chitarra hawaiana di Jeff Simmons e dalla steel di « Sneaky Pete » Kleinow, uno dei maggiori specialisti dello strumento.

Il brano che dà titolo all'album intero è un altro brano esteso, con una ricca sezione di fiati in bella evidenza, e con Don Preston che torna ad armeggiare fra piano e minimoog, una composizione fin troppo lineare che ha spinto i recensori di New Musical Express, molto severi, a parlare di « tediosa pseudoavanguardia ».

In ogni caso questo lodevole « Waka / Jawaka » chiude sicuramente un ciclo quanto mai vario ed eterogeneo. Zappa ha raccolto le idee ed è partito in una nuova direzione (vedi la recensione dello spettacolo dal vivo da Londra), mentre gli ex Mothers non hanno perduto tempo, Jimmy Carl Black e Bunk Gardner in « Geronimo black », ed Howard Kaylan e Mark Volman in « Eddie & Phlorescent leech ». E' uscito intanto in Italia « Burnt weeny sandwich », che risale al periodo aureo di Zappa (1968-69), quando nello spazio di poco più di un anno l'estroso compositore di Baltimora estrasse dal suo ingegno spiritato niente meno che « Uncle Meat », « Hot rats », « King Kong » e appunto la raccolta in questione.

Dalle note di copertina si rileva che la formazione di « Sandwich » è quella gloriosa del primo periodo zappiano, per l'ultima volta, anche se alcuni (come Preston, Black e Underwood) sopravviveranno per altre incisioni.

La prima parte è un autentico calderone di esperienze musicali, un collage ricco e frazionatissimo con accenni ironici al canzonettismo californiano dei primi anni Sessanta, impronte valzeristiche e « old-fashioned », e tipiche melodie zappiane, acutamente definite « serpentine » da un critico americano. I due punti chiave della facciata risultano essere cosi la strumentale e lucida « Theme from Burnt weeny sandwich » e la conclusiva « Aybe sea », con un melodioso assolo pianistico di Ian Underwood che si spegne dolcemente per riprendere sulla facciata B introducendo una delle migliori composizioni del gruppo.

« Little house I used to live in » è una estensione delle idee formulate in « Gumbo variations », uno dei capolavori di « Hot rats ». La ritmica veloce ma lineare fa meglio risaltare il giuoco degli assoli, « Sugarcane » Harris al violino, Don Preston al piano elettrico, Frank alla solista che suggeriscono sviluppi creativi uno dopo l'altro, finché il frenetico finale ricapitola a velocità parossistica il tema iniziale.

E' indispensabile notare il ridottissimo impiego dei flati, ed il vasto impiego delle tastiere, cui opera in una piccola fase lo stesso leader: tutto l'opposto dell'ultimissima tendenza di Zappa che si è ora circondato di ben dodici flati.